Con sentenza 03.04.2025 il Tribunale di Genova, sezione impresa, ha ritenuto responsabile di contraffazione di una privativa varietale europea per cipolla una società con sede al di fuori dello Spazio Economico Europeo, che aveva commissionato ad una società italiana la moltiplicazione di semente di cipolla, per poi importarla nel proprio paese di origine.

Dopo un contenzioso impegnativo, all’esito delle risultanze delle CTU genotipica e morfologica, il Tribunale ha valorizzato il disposto dell’art. 13 del Regolamento CE 2100/1994 e segnatamente dell’art. 13.2.A e 13.2.E, censurando il comportamento dell’importatore estero quale atto concorrente (sotto forma di istigazione) nella <produzione o riproduzione (moltiplicazione)> e nella <esportazione dalla Comunità> senza consenso del titolare. L’art. 13.2 distingue tra <costituenti varietali> e <materiale del raccolto>, che nella fattispecie corrisponde alla differenza tra seme (di cipolla) e cipolla.

Interessante altresì è la precisazione circa la opponibilità alla società estera delle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo, svolto in contraddittorio soltanto con il moltiplicatore italiano.

Una recente decisione dell’Autorita Giudiziaria tedesca ha suscitato un acceso dibattito nel mondo della moda, per avere negato la tutela del diritto d’autore alle calzature Birkenstock.
Il contenzioso nasce quando Birkenstock, noto marchio tedesco famoso per infradito e sandali, ha cercato di proteggere il proprio design attraverso il diritto d’autore.
Il tribunale ha stabilito, che il design delle calzature Birkenstock non soddisfa i requisiti di originalita e creativita necessari per ottenere la protezione del diritto d’autore.
Secondo la sentenza, le caratteristiche estetiche delle calzature sono troppo comuni e non presentano un livello di innovazione sufficiente a giustificare la tutela.
La sentenza potrebbe influenzare altri marchi nel settore della moda, spingendoli a riconsiderare le loro strategie di protezione della proprieta intellettuale.
I designer potrebbero dover fare affidamento su altre forme di protezione, per salvaguardare le loro creazioni.
La decisione dell’Autorita Giudiziaria tedesca rappresenta un punto di riferimento significativo nel dibattito sulla protezione del design nel settore della moda.
Il caso evidenzia la complessita delle leggi sulla proprieta intellettuale e la necessita di un equilibrio tra la protezione dei diritti dei creatori e la liberta di innovazione nel mercato.
Con l’evoluzione continua del settore della moda e delle sue pratiche legali, sara interessante osservare come i marchi e i designer risponderanno a questa sentenza e quali strategie adotteranno per proteggere le loro creazioni in un panorama sempre piu competitivo.

Il Tribunale di Venezia si pronuncia su un interessante quanto complessa vicenda in cui si dibatteva l’ornamentalità e, quindi, la non registrabilità come marchio di determinate caratteristiche presenti su occhiali: <Ritiene in proposito il Collegio che l’impedimento alla registrazione in esame si configuri solo quando il marchio, per le specifiche modalità di realizzazione e non per il suo carattere distintivo dell’impresa di provenienza, dia al prodotto un aspetto estetico idoneo ad assicurargli un significativo vantaggio competitivo; il segno non svolge più la funzione tipica del marchio (o, quanto meno, la sua funzione principale) di collegamento del prodotto ad una determinata impresa ed al valore ad essa connesso, non svolge più la sua funzione di trasferire sul prodotto contrassegnato quelle caratteristiche proprie di prodotti con lo stesso marchio e provenienti quindi dalla stessa impresa, ma ha un valore estetico autonomo, di per sé decisivo nell’esercitare un’autonoma forza attrattiva sul consumatore: il consumatore, quindi, non acquisterà più il prodotto in considerazione della provenienza indicata dal marchio, ma per la forza attrattiva del suo aspetto estetico, ottenuto attraverso una peculiare realizzazione del segno. Proprio in questa ipotesi, infatti, il marchio perde la sua funzione distintiva ed assume una estranea funzione estetica>. allegato sentenza VE 2008 (XICE)

Il Tribunale di Bologna si pronuncia su un interessante caso di contraffazione di marchio denominativo e di marchio di forma, in cui la denominazione corrisponde e descrive di per sé la forma tridimensionale, azionando così un percorso di reciproco rafforzamento della distintività di entrambi i titoli. Molto interessante è la statuizione (del tutto inedita ed innovativa), in cui si ravvisa l’esistenza di un marchio seriale centrato su una forma tridimensionale: <Del pari corretta è l’affermazione che, essendo la attrice titolare anche di un secondo marchio di forma (n. 001392778 del 22-11-1999), riguardante il modello Cobra plus, ove il richiamo alla forma del serpente appare addirittura più incisivo, costituendo così una serie (sul tema in materia di marchi seriali vedi diffusamente Cass. civ. Sez. I, 16/07/2004, n. 13178 Soc. Sirc Natural & Dietetic Foods c. Soc. Also sul leading case “Enervit-Enerbest” nonché Trib. Napoli (Ord.), 29/04/2005 Soc. Max Mara Fashion Group e altri c. Soc. Ara, secondo la quale “… Il marchio denominativo Penny ed i marchi seriali Penny black, New penny easy wear, New penny, Penny pull, T-Penny utilizzati per contraddistinguere capi di abbigliamento, pur potendosi rilevare la diffusione dell’uso del vocabolo Penny nel settore della moda femminile, non sono marchi deboli bensì marchi forti, per l’assenza di riferimenti nel termine Penny alla categoria di prodotti cui si riferiscono i marchi”), il solito osservatore mediamente avveduto potrebbe, cadendo in errore, ritenere che il modello XXX appartenga ad una “sottolinea” della serie Cobra-C. che potremmo identificare, ad esempio, nella variante merceologica “Cobra minus”>. allegato sentenza BO 2010 (marchio)

Il Tribunale di Torino dichiara la nullità di un marchio contrario al buon costume: <A fronte di tale inequivoco significato del termine “fighetta”, il marchio è contrastante con il comune senso del pudore ed è contrario al buon costume; si esclude conseguentemente il diritto alla tutela del marchio ai sensi degli artt. 14 comma 1 lett. a) e 25 C.P.I.. Non si reputa che il concetto di contrarietà al comune senso del pudore da invocare per ravvisare la nullità del marchio coincida con il concetto di osceno rilevante penalmente ai sensi dell’art. 529 c.p. e che possa pertanto essere invocata, per escludere la nullità del marchio, la giurisprudenza penalistica elaborata per escludere il reato di atti osceni o di pubblicazioni e spettacoli osceni. Un segno o una parola possono essere contrari al buon costume e non tutelabili come marchio pur senza costituire un comportamento perseguibile penalmente; tant’è vero che l’art. 14 comma 1 lett. a) C.P.I. individua come ipotesi distinte quella dei segni contrari al buon costume e quella dei segni contrari alla legge; il concetto di contrarietà al buon costume ai sensi dell’art. 14 citato deve essere individuato tenendo conto della ratio della norma di non attribuire al segno, che non ne sia meritevole, la speciale tutela prevista dalla legge per i diritti di proprietà industriale; il concetto di osceno ai sensi dell’art. 529 c.p., ben più grave, tiene conto dell’interesse protetto dalla norma penale e la giurisprudenza è stata elaborata al fine di accertare la commissione di un reato. Parte attrice non ha pertanto diritto all’uso esclusivo del termine “fighetta” e non può invocare la tutela di cui all’art. 20 C.P.I.>. allegato sentenza TO 2011 (marchio illecito)

Il Tribunale di Padova decide un importante caso di liquidazione dell’indennità di fine rapporto in materia di agenzia: <La giurisprudenza di merito ha affermato che, nella logica meritocratica dell’art. 1751 c.c., per una valutazione di partenza, dovrebbe essere preso in considerazione il massimo, l’unica misura prevista espressamente dalla legge, da diminuire in presenza di condizioni negative per l’agente, come la popolarità del marchio, la pubblicità del preponente, le condizioni di mercato, l’anzianità, la perdita di grossi ed affidabili clienti da parte dell’agente, la continuazione inalterata del fatturato, senza aumenti significativi (v. ad esempio Trib. Milano, 19.07.1999, edita in Orient. Giur. Lavoro, 1999, pag. 921; e Pret. Treviso, 10.11.1997, in Rass. G. Ven., 1998, 2, pag. 88). L’argomento della quantificazione dell’indennità è stato affrontato anche dalla giurisprudenza di legittimità. Nella quantificazione dell’indennità il giudice di merito aveva fatto riferimento all’evidente incremento della clientela (all’inizio del rapporto di agenzia la mandante non aveva trasmesso all’agente un portafoglio clienti); ai lievi decrementi verificatisi nell’ultimo periodo da attribuirsi anche alla riduzione di zona compiuta a seguito dell’incremento dell’attività e dell’articolazione della rete di vendita tra sempre più numerosi agenti; ai numerosi clienti acquisiti nel corso del rapporto che avevano rinnovato il rapporto con preponente. Vi era stato il passaggio di alcuni clienti verso la nuova mandante, ma comunque una parte del portafoglio clienti era rimasto alla preponente. La Corte di merito, presa in considerazione l’indennità massima, aveva concluso riducendo l’importo di un quarto in relazione alla perdita di parte della clientela del portafoglio clienti. La Suprema Corte (Cass., sez. L. 24.07.2007, n. 16347) ha confermato la sentenza d’appello osservando: “la Corte europea ha chiarito che l’art. 17 della direttiva non impone il calcolo dell’indennità in maniera analitica, mediante la stima delle ulteriori provvigioni che l’agente presumibilmente avrebbe potuto percepire negli anni successivi alla risoluzione del rapporto, in relazione ai nuovi clienti da lui procurati o al sensibile sviluppo da lui procurato degli affari con clienti preesistenti, e la applicazione solo successiva di eventuali rettifiche dell’importo, in considerazione del criterio dell’equità e del limite massimo previsto dalla direttiva. … Sono, quindi, consentiti metodi di calcolo diversi, e, in particolare, metodi sintetici, che valorizzino più ampiamente il criterio dell’equità e, quale punto di partenza del computo, il limite massimo specificato dalla direttiva … l’art. 1751 c.c., ha inteso condizionare l’attribuzione dell’indennità non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell’attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni da lui perse. Il testo della direttiva riprende alcune disposizioni già dettate dall’art. 89b del codice tedesco, che prevede il ricorso ad un controllo equitativo per stabilire sia l’esistenza del diritto alla indennità di cessazione, sia la misura di tale indennità. La disposizione del codice tedesco individua, infatti, quattro presupposti che devono sussistere congiuntamente, ai fini della maturazione del diritto all’indennità di fine rapporto: la cessazione del rapporto di agenzia (par. 2.1); i notevoli vantaggi per il preponente (par. 2.2); la perdita delle provvigioni da parte dell’agente (par. 2.3); la valutazione conclusiva della rispondenza ad equità della indennità riconosciuta all’ex agente (par. 2.4)”>. allegato sentenza PD 2014 (agenzia)

Il Tribunale di Ancona ha dichiarato la nullità del marchio Riccione Passione Piada, depositato da produttore di piadina avente sede fuori dal territorio romagnolo (come delineato nel disciplinare allegato alla registrazione della denominazione come IGP), in quanto <…………………… l’impiego di un toponimo (R.) e di una denominazione (piada) entrambi dotati di forte capacità individualizzante ed attrattiva, rendono il marchio in questione idoneo a trarre in inganno il consumatore, il quale è indotto a credere di acquistare la tipica piadina romagnola, nonostante l’origine e il procedimento di realizzazione del prodotto, in realtà, siano diversi (cfr. atti difensivi della convenuta); ……………………….. il consumatore opera, così, una scelta distorta sul mercato con riguardo all’origine ed alle caratteristiche merceologiche del prodotto acquistato; ……………. l’origine geografica evocata dal marchio della convenuta (non corrispondente a quella reale) qualifica il prodotto, è in grado di condizionare le scelte del consumatore ed incide sulle sue motivazioni d’acquisto, proprio perché collegata alle caratteristiche qualitative ed alla reputazione del bene (entrambi rilevanti nelle determinazioni del pubblico)>. allegato sentenza AN 2016